Mancano pochi giorni al voto europeo che tutti vogliono “fatidico” e vedremo se sarà davvero così. In Italia non si possono divulgare i sondaggi, ma nel resto d’Europa lo si può fare per cui circolano anche da noi senza restrizioni. Con l’incognita di un astensionismo che ultimamente è dato in crescita, non si sa quanto possano essere affidabili. Del resto, non c’è da stupirsi in presenza di una campagna elettorale che sembra fatta per convincere la gente che c’è posto solo per gli invasati seguaci di questa o quella setta politica. Qualche eccezione naturalmente c’è, ma è molto limitata e trova scarso spazio per arrivare alle persone che si recheranno alle urne.
Azzardarsi a prevedere come andrà a finire è più che rischioso, per cui ci limitiamo a registrare qualche elemento che viene dato più o meno per acquisito. Il primo è che a livello europeo la maggioranza rimarrà nelle mani dell’alleanza PPE, socialisti e liberali, al più con qualche innesto occasionale giusto per metterla al riparo da qualche scivolata di franchi tiratori. Le destre dovrebbero accrescere i seggi, ma non in modo tale da poter esprimere un’alternativa al quadro attuale.
Dedurne che tutto rimarrà più o meno come prima sarebbe sbagliato. I giochi a livello UE sono complicati perché, come abbiamo spiegato più volte, mettono insieme le dinamiche del consiglio dei capi di governo con quelle del parlamento e per di più si intrecceranno con l’evoluzione del quadro internazionale (guerra Israele-Hamas, situazione in Ucraina, valutazione del nuovo imperialismo cinese e anche del ruolo che vorrà giocare l’India). Dunque non è la semplice aritmetica dei partiti rappresentati nel parlamento di Bruxelles a risultare decisiva.
Si dà per scontato che non saranno riflessioni su questo quadro a determinare le scelte degli elettori italiani, quanto piuttosto il gradimento o meno per l’attuale configurazione dei partiti nostrani. Qui l’affare si complica, perché ancor più delle percentuali raccolte da ciascuna forza politica, che certo avranno il loro peso, saranno importanti i flussi elettorali, cioè gli eventuali spostamenti di consensi da un partito all’altro. Facciamo alcuni esempi banali. I voti moderati presenti nel destra-centro rimarranno dove si trovano, cioè non abbandoneranno la scelta per FdI di governo o, irritati dalle impennate comiziesche della campagna elettorale, si sposteranno su FI, sui partiti di centro, o confluiranno nell’astensione? All’opposto il riformismo presente a sinistra, che pure aveva una sua tradizione, rimarrà nonostante tutto nel PD della Schlein movimentista, oppure si sposterà verso il centro di Calenda e Renzi, oppure ancora anche in questo caso sceglierà l’astensione? La Lega vedrà ridimensionarsi una sua tradizione “governativa”, oppure Salvini la rimpiazzerà con il consenso agli estremismi di Borghi e Vannacci? E i voti dei Cinque Stelle si manterranno in quell’area oppure emigreranno verso altri lidi?
Le tecniche di analisi elettorale sono oggi sofisticate e riescono con una certa precisione a fotografare questi flussi. Siccome si tratta di calcoli piuttosto tecnici non traspariranno nelle letture che i vari partiti faranno dei risultati delle urne: a meno di terremoti che al momento non si ipotizzano finirà come al solito che ogni partito si dipingerà più o meno come chi ha ottenuto un risultato fra il buono e il soddisfacente. Altra cosa saranno invece i conti che verranno fatti nei gruppi dirigenti delle forze politiche e nelle lotte fra di esse. Ci sono leadership che potrebbero incrinarsi o saltare, equilibri nella distribuzione dei ruoli apicali che potrebbero essere rivisti, ma anche, perché no, soggetti che potrebbero consolidare la loro presenza. Quest’ultimo aspetto vale soprattutto per la galassia centrista, che affronta davvero una prova del fuoco.
In maniera simile accadrà anche per i raggruppamenti più marginali: di nuovo non è la loro eventuale sconfitta sotto la soglia di sbarramento ad essere in questione (la si dà per scontata), ma la misura della loro presa sulla pubblica opinione, visto per esempio il sostegno che liste come quella di Santoro hanno avuto da una fetta non piccola, né secondaria, del sistema mediatico.
Tutto questo dovrà essere parametrato sui risultati delle amministrative: come andrà in contesti importanti come la regione Piemonte, o in città come Bari, Firenze, Modena, aprirà sicuramente ulteriori spazi e occasioni per disegnare gli equilibri del ceto politico italiano. Sempre nell’ottica di nuove tornate elettorali che arriveranno fra autunno-inverno e nuovo anno. Perché a non finire mai in Italia, oltre agli esami, sono le tornate elettorali.