Aiutiamoci a riconoscere la paura

Domenica 17 dicembre è la Giornata della Carità

Di fronte alle fragilità immateriali ci chiediamo spesso in quali modi esprimere l’amore fraterno (e ben venga questa domenica d’Avvento che è “Giornata della carità”): aiutare gli altri a riconoscere la paura può essere la forma di “carità relazionale” oggi più preziosa e richiesta.

Nel Rapporto 2024 del Censis, che descrive un Paese “che non cresce, ma galleggia”, una delle paure più dichiarate è quella dei migranti: per il 57, 4% degli intervistati sono una minaccia perché “vogliono introdurre regole e abitudini contrastanti con lo stile di vita italiano consolidato”. È la classica paura fondata sul pregiudizio della diversità, ingigantita da chi racconta ancora il pericolo di “un’invasione” straniera smentita pure dalle statistiche. Un’altra paura epocale è quella che abbiamo attraversato nella pandemia – l’impotenza davanti ad un virus veloce e mortifero – e che ora si è troppo rapidamente dissolta, allentando misure di protezione ancora essenziali per i soggetti deboli.

Queste paure potrebbero essere catalogate in uno schedario che si apre a fisarmonica: vi escono l’abbandono, il dolore fisico e la malattia mentale come paure profonde. Spuntano poi nelle terribili cronache di oggi la violenza sulle donne, gli abusi sui bambini, la minaccia nucleare. Salgono da molti giovani, attanagliati dalle previsioni realistiche sul futuro del pianeta, segnali di un’”ecoansia” ancora più pesante in quanto malattia generazionale, sottovalutata o ignorata da adulti di corta visione.

Davanti a paure vecchie e nuove, ci sentiamo talvolta dei Samaritani…paurosi, fiaccati dalle nostre stesse paure. Ma è una consapevolezza sana, terapeutica: restiamo umani, coscienti della nostra fragilità e, quindi, della possibilità di ricevere e ancora dare aiuto. E ci viene in soccorso il buon senso dei nostri nonni (“‘na man la lava l’altra…”), ma anche il testamento ideale di un padre della psichiatria italiana, Eugenio Borgna, scomparso mercoledì scorso a 94 anni: “L’inferno, è essere soli” è una delle definizioni più note di questo luminare che ha fatto dell’ascolto, dell’empatia e della fiducia uno stile di vita.

Secondo Borgna il primo modo per aiutare ad affrontare le paure – le nostre e quelle degli altri – è saperle riconoscere per quello che sono. Anzi, il primario emerito di psichiatria a Novara invita nei suoi libri a saper cogliere “il lato buono della paura”, dopo averla affrontata a cuore aperto, sempre con l’aiuto di altri.

In chiave evangelica questa risorsa umana è stata segnalata domenica in Santa Maria Maggiore dal nostro arcivescovo Lauro nell’omelia per l’Immacolata: “Anche Maria ha provato paura, nessuno ne è privo, la paura appartiene all’umano. La madre di ogni paura è il timore di non trovare casa presso qualcuno che mi voglia bene. Alla fine, a liberarti dalla paura è un volto che ti sorride, ti custodisce, ti ama. E a tua volta poi riesci a incontrare e custodire il volto di un altro”.

Aiutiamoci reciprocamente a dare un nome alle paure: un disagio psichico può essere riconosciuto prima e alleviato in un gruppo di auto aiuto; l’incubo di una vecchiaia di peso per i parenti può trasformarsi in un impegno a vivere l’oggi con pazienza; la preoccupazione per una crisi economica può innescare azioni di solidarietà “corta”; una generica minaccia, indistinta e quindi più penosa, può essere sgonfiata dalla parola sincera di un amico, guaritore a sua volta guarito. Quante lezioni di crescita e di conversione ci vengono dalla severa cattedra della paura!

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