Per contrastare le molestie sui luoghi di lavoro, ancora poco denunciate, per un retaggio culturale che tende a colpevolizzare chi le subisce, servono più informazione e più formazione. Lo riconosce Manuela Faggioni, che tra gli svariati incarichi che riveste per il sindacato è, anche, responsabile delle politiche di genere della Cgil del Trentino.
Cosa è una molestia?
Qualsiasi atteggiamento, corporale o verbale, non richiesto e non gradito dalla persona che lo riceve. Non parliamo di molestia solo quando è estremamente diretta, esplicita, volgare, o portata con un atto fisico: molestie sono anche quelle verbali. Anche la violenza economica è una manifestazione di molestia.
Chi sono le persone più esposte alle molestie sul luogo di lavoro?
La recente ricerca che abbiamo svolto sulla provincia di Trento ha confermato i dati statistici generali: le donne, nel 99 per cento dei casi, e, in particolare, le donne giovani. Ma non c’entra l’avvenenza fisica. Il fatto è che la donna giovane in genere è appena assunta, spesso con contratti di precariato, ed è quindi più esposta perché più fragile, in posizione di minor forza rispetto al molestatore/ molestatrice.
Nella ricerca da lei citata, realizzata insieme all’Università di Trento, un dato fa riflettere: a compiere le molestie sono soprattutto persone di pari grado.
È assolutamente vero. Dai dati emerge che la molestia di carattere sessuale è spesso agita da colleghi o colleghe.
Quali sono i settori maggiormente interessati?
Non esiste un settore più esposto. Possiamo dire che nelle attività a predominante presenza maschile, se vi sono una o poche donne, è abbastanza “normale”, purtroppo, che nei loro confronti scappi la battuta, si adoperi un linguaggio volgare, inappropriato, ci siano allusioni di carattere sessuale… È estremamente frequente. Per converso, altrettanto accade nei luoghi dove c’è una forte presenza femminile: qui la molestia è agita da terzi, non da colleghi. Penso, ad esempio, a un negozio, dove nei confronti della commessa, o comunque di chi è addetta alla vendita, si verificano spessissimo atteggiamenti poco consoni.
Come riconoscere la molestia e come difendersi?
Partiamo dal presupposto che, nel momento in cui qualcuno agisce nei nostri confronti in modo non desiderato, siamo già di fronte a una molestia. Non occorre aspettare che si verifichi qualcosa di grave. L’atteggiamento se molesto va fermato. Spesso è sufficiente fermare immediatamente la persona che lo ha agito, a volte invece non si ha il coraggio o non si ritiene di essere nelle condizioni di forza per opporsi: allora è bene rivolgersi, sul posto di lavoro, ai rappresentanti dei lavoratori e delle lavoratrici per la sicurezza. Se la molestia è arrecata da colleghi di pari grado, si dovrebbe fare immediatamente una segnalazione al responsabile del personale, a un superiore o al datore di lavoro. E poi ci sono le istituzioni esterne al posto di lavoro.
Quali sono?
Le organizzazioni sindacali, che hanno ormai da anni sportelli per la segnalazione; il Centro antiviolenza di Trento; il Consigliere di parità (attualmente è Matteo Borzaga), che è la figura istituzionale incardinata presso il Consiglio provinciale di Trento.
Quante segnalazioni ha raccolto lo sportello SMOG del sindacato? Da chi arrivano?
Poche, ed è il segnale di un grosso problema: nella maggior parte dei casi, le donne vittime di molestia, di mobbing, di violenza, a un certo punto dell’iter della loro segnalazione, decidono di mollare. Non hanno la forza, anche psicologica, di affrontare ciò che è necessario fare. Talvolta non riescono a restare presso l’azienda dove hanno subito la molestia. Accade spesso che, piuttosto di dover rivivere quanto accaduto, le donne accettano di dimettersi o di chiudere la questione ricevendo un’indennità in denaro. In tribunale arrivano pochissimi casi.
Pesano la vergogna e la sofferenza che portare avanti la propria causa comporta.
Indubbiamente, sì. Provano vergogna come se fosse una loro responsabilità. E pesa lo stigma, perché viviamo in una società che colpevolizza la vittima, invece che l’autore della violenza. Così si cerca di chiudere la propria vicenda prima possibile, con il minor danno, e di dimenticare. Le donne che hanno il coraggio e la forza di portare avanti una vertenza vera sono poche.
L’indagine “Non è una battuta” promossa dalla Cgil del Trentino con l’Università di Trento quali azioni ha suggerito?
Andrebbe fatta un’azione di formazione ampia e trasversale sul management aziendale. Per fare cultura su queste tematiche quello che possiamo fare noi come sindacato è formare colleghi e colleghe…
A partire dai vostri quadri.
Sì, perché siano in grado di gestire una segnalazione nel miglior modo possibile, dal punto di vista umano e legale. Allo scopo abbiamo avviato una formazione interna. Ma è urgente avviare iniziative di formazione di chi gestisce il personale dentro alle aziende. Il datore di lavoro, i responsabili del personale, i capi reparto devono essere formati su questi temi. In passato non si è mai fatto, anche perché la questione è stata sottostimata e sottovalutata. Chi ci rimette sono le donne, che si dimettono o vengono licenziate. Ma, ripeto, il problema è anche culturale e andrebbe affrontato a livello di società tutta.
Molestie fenomeno sottostimato, dice. I giornali ne parlano poco?
Certamente occorre parlarne di più. Ed è importante anche come se ne parla, il linguaggio. Ad esempio, curare la scelta delle immagini, le parole che si usano.