Seconda domenica di Pasqua, “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”

27 aprile: II domenica di Pasqua – C

Letture: At 5,12-16; Sal 118; Ap 1,9-13. 17-19; Gv 20,19-31

«Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21)

Sembra strano che nonostante la fede del discepolo amato e la testimonianza di Maria, la comunità dei discepoli continui a sbarrare le porte, prigioniera della paura. Giovanni, tuttavia, ci racconta che proprio in questa realtà il Risorto incontra i suoi: spalanca le loro porte sprangate, illumina il loro buio, si introduce nella loro paura e li incontra nel grido inconsapevole del loro cuore. La prima buona notizia di questa domenica è, dunque, che non esiste situazione umana in cui il Risorto non possa incontrarci: c’è un’alba di risurrezione in ogni esperienza di buio e di paura, di croce e di morte.

Ai discepoli spaventati, il Risorto dona pace: non promette un’esistenza priva di dolore ma dona di abitare la sofferenza. Per questo mostra le mani ferite e il costato lacerato: i segni dell’odio divengono feritoie per riconoscere un amore senza limiti. La reazione dei discepoli è la gioia: riconoscono il Signore ed a Lui aderiscono nella fede. La parola del Risorto, tuttavia, li spinge oltre perché ogni dono è per la missione: la salvezza deve raggiungere i confini del mondo, perché ogni creatura possa credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbia la vita nel suo nome (20,31).

La comunità dei discepoli sperimenta da subito però la fatica della testimonianza quando cerca di condividere la propria esperienza con uno di loro. Tommaso, che probabilmente non aveva creduto all’annuncio di Maria, non crede ora alla testimonianza dei suoi amici (v. 25). Otto giorni dopo, tuttavia, anche Tommaso si trova con agli altri quando il Risorto torna ad essere presente in mezzo a loro. Gesù accetta il bisogno di Tommaso di avere prove tangibili ma lo sfida a percorrere un cammino di conversione (v. 27).

Cosa accade nel cuore di Tommaso? Non lo sappiamo. Il testo non indica neppure se abbia toccato o meno i segni della passione. Sappiamo però che penetrato dallo sguardo del Crocifisso-risorto, rivelato a se stesso e interpellato dalla sua Parola, anche Tommaso “vede” e proclama la sua fede con una delle confessioni più belle e profonde del Nuovo Testamento: «Mio Signore e mio Dio» (v. 28).

Il narratore considera questo il punto di arrivo del suo vangelo e lo conclude. Il racconto che era iniziato con una confessione di fede nella divinità del Parola — «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio» (1,1) — termina con la confessione di fede di uno di coloro che l’hanno accolta. Tommaso ha, infatti, compreso che solamente in una relazione personale e profonda con il Crocifisso-Risorto è possibile riconoscerlo e accoglierlo come Messia e Figlio di Dio.

Le ultime parole del Signore sono rivolte a noi che non lo abbiamo toccato, non lo abbiamo seguito dalla Galilea, non eravamo sul Calvario e non abbiamo mangiato con lui dopo la sua risurrezione. Per tutti noi è possibile vivere la stessa esperienza della comunità delle origini credendo alla Parola, accogliendo la testimonianza di Maria di Magdala e di Giovanni e ripetendo la confessione di Tommaso. Come loro anche noi siamo raggiunti dal Risorto in qualunque situazione la vita ci abbia rinchiusi. Le nostre porte sbarrate non fermano il Risorto; ci raggiunge dove siamo donandoci la Sua pace. Ci avvolge nel suo Spirito e ci invia ad essere Lui per riconciliare l’umanità tutta con il Padre.

Chiediamoci: Permetto al Risorto di penetrare le mie paure? Lo riconosco come «mio Signore e mio Dio»?

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