Paesaggio naturale e umano. Tra passato, presente e futuro, le Alpi sono una costruzione sociale e culturale e rappresentano uno spazio multiculturale unico, chiamato ad affrontare molte sfide, dall’emergenza climatica alle perdita di biodiversità, che sempre più incidono sulla vita delle comunità alpine. Al tempo stesso, sono un appello e uno sprone per ritrovare nuovi equilibri nel rapporto tra protezione dell’ambiente, sviluppo economico e benessere sociale dei suoi abitanti. Tema attualissimo, al quale il presidente delle Acli trentine Walter Nicoletti ha dedicato un libro, Le Alpi per ricominciare. Una nuova alleanza fra umanità e natura, edito da ViTrenD con prefazione di Lorenzo Delladio, presidente di Confindustria Trento e di La Sportiva. Il libro sarà presentato dall’autore venerdì 28 marzo, alle 18, nell’aula magna del Vigilianum in via Endrici, 14, a Trento, insieme a Manuela Baldracchi, presidente della sezione locale di Italia Nostra, e ad Alessandro de Bertolini, ricercatore della Fondazione Museo Storico.
La passione di Walter Nicoletti per i territori alpini, coltivata raccontando i mille volti dell’agricoltura di montagna, si è tradotta in questo libro, frutto delle riflessioni della recente tesi di laurea in filosofia di Nicoletti “Le Alpi come nuovo inizio” all’Università di Trento. La dedica del volume è a Walter Micheli (1944-2008), “uomo di montagna, apritore di vie”, lo definisce Nicoletti, vicepresidente della Giunta Provinciale per due consigliature, negli anni Novanta, e assessore all’Ambiente e Territorio, grande ambientalista e tra le tante iniziative padre della Legge provinciale sui Parchi del 1988.
Il libro è un saggio di taglio filosofico che ripercorre la storia delle Alpi come paradigma dell’evoluzione e dell’involuzione dei nostri riferimenti sociali, culturali ed economici, critica i modelli economici e scientifici degli ultimi secoli e propone una nuova via per ritrovare nuovi equilibri nel rapporto tra uomo e natura.
L’ho dedicato a Walter Micheli poiché intendo proporre un ragionamento politico rivolto alle Alpi come regione unica, un luogo da cogliere nella sua totalità, attraverso un approccio unitario. Il futuro delle Alpi dipende dalle scelte politiche che saremo in grado di assumere per salvaguardare la più grande oasi naturalistica al centro dell’Europa, perciò c’è bisogno di una politica che ponga al primo posto il tema della sostenibilità ambientale e del limite.
Lei sostiene che manca una cultura della montagna: da dove partire per ricomporre la frattura e rifondare l’alleanza tra umanità e natura?
Il cedimento della cultura della montagna, specie in un territorio come il nostro, intriso di cultura autonomistica, dell’autogoverno e della cooperazione, è un problema enorme che ci spinge sul baratro di un futuro caratterizzato dai rischi di diventare una grande Disneyland intervallata da zone abbandonate e tipiche della wilderness di ritorno. Per evitare questo è necessario rilanciare il nostro legame con la montagna, con il senso del limite, con il rispetto dei ritmi e delle condizioni imposte dalle terre alte. Senza questo ripensamento siamo destinati a perdere sia la nostra identità, sia il nostro capitale sociale ed ambientale.
In cosa consiste la “filosofia della natura” di cui lei scrive?
È un ragionamento che parte dalla critica della scienza che, soprattutto da Cartesio in poi ha ridotto la realtà a formule matematiche. Il riduzionismo scientifico è la causa del modello di sviluppo attuale che ha portato il pianeta e l’umanità sull’orlo del baratro dell’estinzione. Dobbiamo tornare ad una nuova alleanza che ricomponga le antiche fratture fra materia e spirito, discipline tecnico-scientifiche e umanistiche. Abbiamo bisogno di una rivoluzione che è insieme spirituale, scientifica e politica.
Oggi la montagna è anch’essa oggetto di consumo, sembra aver perso quel senso del limite e del sacro che suscitava spontaneo rispetto e cura: la dimensione spirituale che ruolo può avere?
La dimensione spirituale è centrale, la montagna, in tutte le religioni, è sempre stata fonte di ispirazione. A seconda delle diverse fedi, ci collega a Dio, all’Essere, alla dimensione cosmica. È in ogni caso un’entità che relativizza le tendenze a percepire l’uomo come l’essere che governa il mondo. Ci libera dai rischi antropocentrici. Nella nostra epoca abbiamo, inoltre, bisogno di riconciliarci non solo con la natura, ma anche con noi stessi, per comprendere che non siamo solo materia, ma che abbiamo un’anima, uno spirito, ed è possibile ascendere verso la liberazione dall’io egoista. La montagna ci insegna anche questo.
Come lei ha ben evidenziato, le stesse comunità alpine sono responsabili della perdita di identità.
Certo, quando si dimentica la storia e il senso di appartenenza alla montagna si inizia a considerare la natura come una commodity, ovvero una materia prima da sfruttare e sulla quale investire in termini di profitto. Purtroppo, spesso le comunità locali sono state le artefici dei maggiori disastri ambientali all’interno dell’arco alpino, magari con il loro silenzio, con la complicità o indifferenza.
Le Alpi sono per lei sono da considerare un laboratorio per il futuro, uno spazio di sperimentazione, un territorio interessante per comprendere i problemi ambientali che coinvolgono l’intero pianeta.
Le Alpi si salveranno se riusciranno ad uscire dalla dimensione difensiva per passare alla proposta. Per questo è necessario che diventino un prototipo della sostenibilità ambientale ed un laboratorio permanente rivolto al futuro del pianeta mettendo a sistema il patrimonio rappresentato oggi dai numerosi centri di ricerca, università, laboratori che gravitano all’interno dell’arco alpino.
La storia dell’insediamento in quota delle comunità alpine ci insegna che il tema del rispetto del limite e della messa in campo di strategie di sopravvivenza compatibili con gli equilibri ambientali era una condizione necessaria per poter vivere in quota. Dobbiamo recuperare questi grandi insegnamenti del passato per attualizzarli e proiettarli in un futuro sostenibile.
Qual è la terza via auspicata? Lei indica quattro obiettivi per salvare le Alpi, un progetto orientato alla sostenibilità ambientale, di rigenerazione della montagna alpina in sintonia con la Convenzione delle Alpi, la cui guida è stata assunta in gennaio dall’Italia per il biennio 2025-2026.
La terza via è un’alternativa alle derive lunapark e wilderness, vale a dire alle Alpi come distretto dell’intrattenimento e campo di gioco dell’Europa alternato a territorio intriso di abbandono, marginalità e re-inselvatichimento. L’alternativa si gioca su quattro obiettivi, da perseguire contemporaneamente.
Il primo riguarda le Alpi come tòpos, come luogo vocato storicamente alla sostenibilità ambientale, e l’economia alpina dovrà caratterizzarsi per questo obiettivo a tutti i livelli. Il secondo è un obiettivo politico e riguarda l’istituzione di una macro regione alpina, ribadendo l’urgenza di una strategia complessiva dal punto di vista politico-amministrativo che superi la fragilità delle istituzioni esistenti quali la CIPRA, EusAlp e altri che pure hanno svolto e svolgono un ruolo importantissimo, ma sempre subalterno rispetto ai governi centrali. È necessaria una politica unitaria se vogliamo salvare le Alpi.
Il terzo riguarda l’urgenza anche di un’iniziativa pubblica rivolta al ripopolamento delle Alpi, approntando unitariamente politiche per la casa, per l’insediamento dei giovani, per la defiscalizzazione e sburocratizzazione altrimenti le Alpi muoiono di normative, tasse e procedure.
Il quarto obiettivo riguarda le Alpi come laboratorio per il futuro, di cui ho parlato prima.