Il nome di Alcide Degasperi è indissolubilmente legato alla storia dell’Alto Adige. Fu lui a firmare, nel settembre del 1946, assieme al ministro austriaco Karl Gruber, l’accordo che oggi viene definito (da quasi tutti) la “magna charta” dell’autonomia altoatesina.
Lo scorso 28 febbraio, nel Palazzo apostolico Lateranense, a Roma, si è tenuta la sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana “sulla vita, le virtù eroiche, fama di santità e dei segni” di Alcide Degasperi. Una procedura che era stata avviata inizialmente presso il Tribunale ecclesiastico dell’arcidiocesi di Trento.
Roma e Trento (città accomunate, in relazione al Sudtirolo, da un “los von”) sono i luoghi nei quali lo statista ha operato – non certo gli unici – e quelli che rappresentano in qualche modo il contraltare l’uno di Vienna, l’altro di Bolzano.
Non è un mistero che il procedimento canonico per la beatificazione di Alcide Degasperi sia stato rallentato e fermato da chi non condivideva il modo con cui egli aveva affrontato la questione altoatesina. A conclusione del secondo conflitto mondiale gran parte della popolazione sudtirolese e la sua classe dirigente di lingua tedesca avrebbero voluto una revisione dei confini che rendesse il territorio parte integrante della repubblica d’Austria. Le potenze vincitrici esclusero questa ipotesi ben prima che fosse firmato l’accordo di Parigi. Ragioni politico-strategiche portarono alla conferma del confine del Brennero. In termini geopolitici l’accordo Gruber-Degasperi doveva contribuire piuttosto a guadagnare anche l’Austria al blocco occidentale e a sottrarla all’influenza sovietica.
La conferma del confine, attribuita malignamente alla “furbizia” di Degasperi, fu la prima delusione. La seconda scelta politica contestata all’allora primo ministro fu l’estensione dell’autonomia al Trentino. Così lo stesso Degasperi spiegò e difese l’Accordo e il Primo Statuto in sede di Assemblea costituente (29 gennaio 1948), sottolineando che ad essere coinvolta non fosse solo una minoranza, ma una complessa articolazione di segmenti di popolazione, ognuno con la sua storia e le sue aspirazioni: “Ora, il compito era questo: mantenere l’impegno che si era preso a Parigi; assicurare, cioè, l’esercizio di un potere autonomo agli abitanti della zona di Bolzano. Contemporaneamente, soddisfare le aspirazioni degli abitanti della Provincia di Trento e, concedendo e assicurando i diritti autonomi alla parte di Bolzano, garantire anche l’esistenza e tutti i diritti alla minoranza italiana nella Provincia di Bolzano. Ossia, risolvere il problema della convivenza amministrativa, creando garanzie istituzionali per la minoranza: entro la Regione, dei tedeschi; e dentro la Provincia di Bolzano, degli italiani”.
Ciò che poi fece degenerare i rapporti, condusse alla stagione delle bombe e dei ricorsi all’ONU e infine alla riforma dello Statuto, fu una gestione dell’Autonomia in una prospettiva trentocentrica. Una politica poco accorta che portò al “Los von Trient” lanciato da Silvius Magnago a Castelfirmiano nel 1957. Ma a quel tempo Degasperi viveva già da alcuni anni in quello stato di beatitudine (riservato agli operatori di pace) che ora gli si vuole riconoscere canonicamente.
In realtà, come oggi si ammette, l’Accordo di Parigi – al netto delle delusioni di cui sopra – metteva il gruppo di lingua tedesca del Sudtirolo in una situazione privilegiata rispetto a tante altre minoranze germanofone in Europa, costrette ad abbandonare la propria terra o la propria cultura. Al contrario, il patto Hitler-Mussolini delle opzioni fu annullato, fu restituita a chi aveva optato per la Germania la cittadinanza italiana e le persone emigrate poterono rientrare nella loro Heimat. All’Autonomia altoatesina fu inoltre dato, di fatto, un ancoraggio internazionale che conferisce all’Austria una funzione di tutore e alle istanze multilaterali una possibilità di intervento.
Forse un giorno anche la classe dirigente del Villaggio di Asterix accenderà un cero presso l’altare del (futuro) beato Alcide, avendo riconosciuto il suo ruolo (e quello del bistrattato Gruber) nella definizione di una controversia secolare in un momento storico tutt’altro che facile. Ma già oggi tutti possono vedere il rilievo dello statista trentino nella formulazione e nella realizzazione del sogno europeo. Di questo mosaico un Alto Adige pacificato può e deve essere una tessera importante.
“Uno dei tratti distintivi del suo carattere”, ha detto il cardinale vicario di Roma, Baldassarre Reina, nel chiudere la causa diocesana, “era la capacità di affrontare le difficoltà con serenità e speranza. La sua visione dell’Europa, fondata sulla cooperazione tra i popoli, rifletteva un approccio inclusivo e lungimirante, in netto contrasto con le divisioni nazionalistiche che avevano segnato il continente nei decenni precedenti. Per lui, il confine non era una barriera divisoria, ma un ponte tra culture diverse”.