Le parole scomode di Francesco relegate in un cono d’ombra

La lettera inviata da papa Francesco foto Corriere della Sera

È una vera e propria lettera, quella che papa Francesco ha inviato nei giorni scorsi al Corriere della Sera, non un semplice messaggio di circostanza per ringraziare il direttore per la vicinanza e gli auguri di guarigione. Diciamo che, al di là della cortesia, ha colto l’occasione per mandare – attraverso il principale quotidiano italiano – un messaggio a tutti: “urbi et orbi”. Una lettera nella quale il Papa malato parte proprio dalla propria sofferenza, dalla fragilità di una malattia che lo ha portato al lungo ricovero al Gemelli con le telecamere di tutto il mondo impegnate a riprendere quella stanza illuminata al decimo piano e a dar conto dei bollettini medici quotidiani che hanno raccontato, senza giri di parole, la gravità delle condizioni di Francesco.

Per giorni e giorni, sono state proprio le sue condizioni di salute ad aprire i notiziari televisivi, a riempire pagine sui giornali. Ecco perché, quando ho visto la lettera inviata al Corriere, ho immaginato che quelle parole del Papa sofferente sarebbero state riprese da tutti i mezzi di informazione. In fondo, come si dice nelle redazioni, quella lettera era di per sé “una notizia”: Francesco sta meglio e, seppur affaticato e condizionato dalla malattia, non ha rinunciato ad esercitare il suo magistero. Non ha smesso di far sentire la sua voce soprattutto sulle questioni che oggi più gli stanno a cuore, che più lo preoccupano, che più lo fanno soffrire.

Così non è stato. La lettera del Papa “non è diventata notizia”. Certo, tutti ne hanno fatto cenno, ma nessun quotidiano l’ha ripresa in prima pagina, nessun telegiornale ha deciso di dedicarle un minimo di approfondimento. Solo l’Osservatore Romano ed Avvenire – ma la cosa può apparire scontata – hanno deciso di riprendere la lettera e dedicargli l’apertura. Nessun altro giornale ha deciso di riprendere “la notizia” in prima pagina come avrebbe meritato. Come è poi successo, domenica scorsa, con l’annuncio (bellissima notizia) che il Papa sarebbe stato dimesso dall’ospedale. Il Corriere, per dire, gli ha dedicato l’apertura della prima e poi le prime quattro pagine.
Papa Francesco, del resto, riesce quasi sempre a catturare l’attenzione dei media. Un po’ meno quando affronta questioni – come quella degli armamenti – che è meglio lasciare nel cono d’ombra. Stavolta non si può nemmeno dare la colpa agli algoritmi che sui social decidono cosa puoi vedere e cosa è meglio tener sottotraccia, quali questioni enfatizzare e quali invece non far girare. Stavolta l’algoritmo è quello umano, quello che decide cosa pubblicare e quale argomento è invece opportuno lasciar perdere. Addirittura, è successo che proprio nel giorno in cui la lettera di Francesco è stata diffusa, l’intera Aula del Senato – tutti in piedi, “affetto bipartisan” – gli abbia mandato un augurio di pronta guarigione senza, peraltro, fare alcun riferimento al contenuto del suo messaggio. Papa Francesco va bene, i suoi appelli al disarmo un po’ meno.

“Nella malattia la guerra mi sembra ancora più assurda”, dice Francesco senza giri di parole. “Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra”. Per tre volte viene usato il termine “disarmare”, quasi a voler rispondere, in maniera forte e diretta, a quello che sembra essere un urlo collettivo che domina questi nostri giorni: “armiamoci, armiamoci, armiamoci”. Dall’Europa ai singoli Stati, dal governo a buona parte dell’opposizione, dalle piazze ai salotti. Investimenti ingenti, assolutamente impensabili sino a poco tempo fa; poche le osservazioni critiche, pochissime le voci fuori dal coro. Come quella di papa Francesco che contrasta una comunicazione finalizzata a spiegare che “riarmarsi” oggi non è un’opzione, ma un obbligo. Per la gioia di chi le armi le produce.

Le parole di Francesco, anche stavolta (come ogni volta che ha cercato di spiegare che non c’è mai “vittoria” o “pace giusta” perché la guerra è sempre e comunque una sconfitta per tutti) sono state derubricate ad “affermazioni dovute”, a “non notizia”. Eppure, anche stavolta, Francesco non si è limitato ad indicare l’urgenza del disarmo (“delle parole, delle menti, della Terra”) come risposta ai nuovi “ReArm”, ma ne ha anche indicato la strada: “C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità. Mentre la guerra non fa che devastare le comunità e l’ambiente, senza offrire soluzioni ai conflitti, la diplomazia e le organizzazioni internazionali hanno bisogno di nuova linfa e credibilità. Tutto questo – conclude Francesco – chiede impegno, lavoro, silenzio, parole”.

Dietro alle armi c’è solo la logica della guerra. Soprattutto quando si abbandonano tutte le altre opzioni: quella della politica, quella del dialogo, quella della ricerca di soluzioni originali e pacifiche, quella della diplomazia. Le armi non sono solo una scelta da affiancare alle altre: la rincorsa agli armamenti toglie spazio alle altre opzioni. Ce lo ricordava papa Paolo VI nell’autunno del 1965, in uno storico intervento all’Onu. “Le armi, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli”.

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