Mettendosi in posa per la fotografia, Eunice Facciolla (1929-2018, di origini pugliesi) sorride e dice alle quattro figlie e al figlio di fare altrettanto. Rubens, marito e padre, ingegnere ed ex deputato del Partito laburista brasiliano, è stato prelevato dalla polizia della dittatura militare nel gennaio 1971 e non tornerà mai più a casa, ma lei cercherà verità e giustizia con tenacia e perseveranza. Walter Salles, regista brasiliano di “Central do Brasil” (1998) e “I Diari della motocicletta” (2004), porta sul grande schermo “Io sono ancora qui”, cinema di impegno civile sulla tragedia dei desaparecidos attraverso la storia vera di una famiglia, simbolo di quella collettiva, poco nota, di un intero paese, tratta dal mémoire “Sono ancora qui” (La Nuova Frontiera, 2025) di Marcelo Rubens Paiva, oggi giornalista e scrittore.
Coinvolto personalmente – da bambino aveva conosciuto bene la famiglia Paiva, loro vicino di casa -, il regista dà voce al punto di vista di chi è rimasto, testimone della violenza arbitraria di un regime che tortura, uccide e fa sparire gli oppositori, e il film, solido e affidato alla straordinaria interpretazione di Fernanda Torres nel ruolo di Eunice – candidata ai premi Oscar 2025, Golden Globe quale migliore attrice drammatica -, ha vinto il Premio Oscar come Miglior Film Internazionale 2025, il Premio Osella per la miglior sceneggiatura e il Premio cattolico internazionale Signis al Festival di Venezia 2024.
La pellicola segue la vita della famiglia in tre periodi: il primo, più ampio, li“fotografa” felici in una grande casa in riva al mare a Rio de Janeiro, fino alla sparizione di Rubens. Il governo nega che sia stato arrestato e diffonde la falsa notizia della sua fuga, ed Eunice, a sua volta interrogata e poi rilasciata, inizia una lunga battaglia legale, cercando prove che ne dimostrino l’assassinio. Nella pellicola, il dolore per la tragedia appare forse troppo composto e non è quasi mai mostrato: Eunice protegge le figlie e il piccolo Marcelo, e Fernanda Torres regala in intensi primi piani sguardi profondi e un sorriso dolcemente accennato, segno di una resistenza ferma. Emerge anche il valore degli strumenti visivi che documentano fatti reali a fronte del falso sistema in formativo del regime: le fotografie hanno grande valore affettivo per la vedova, poi assumono un duplice ruolo di memoria e di denuncia. Veroca, la figlia maggiore, realizza filmini Super 8 e riprende il momento in cui partono per trasferirsi a San Paolo, dove la madre si laureerà in legge a 48 anni, si dedicherà alla difesa dei diritti umani e nel 1996 otterrà finalmente dallo Stato il certificato di morte del marito. Infine, il libro di Marcelo Paiva è un modo per custodire sia la memoria collettiva del Paese che quella della madre, malata di Alzheimer: nel 2014, guardando per caso in tv un servizio dedicato al marito e ad altre vittime della dittatura, si “risveglia” e poi partecipa rasserenata alla rituale foto di famiglia.
 
                            